Potere senza colpa, amore senza dubbi…
Vi siete mai chiesti come ci si sentirebbe ad essere un lupo?
“Lo spirito del lupo non è malvagio, se non è malvagio l’uomo che lo ospita. Ed è bellissimo essere un lupo, no? Potere senza colpa, amore senza dubbi…”
Dr. Vijay Alezias, nel film “Wolf”.
Vi siete mai chiesti come ci si sentirebbe ad essere un lupo? Che genere di percezioni, sensazioni, emozioni, pensieri potrebbe avere, mentre corre, salta, caccia, sbrana una preda, cerca una compagna, ha cura dei cuccioli? Con un po’ di fantasia, non è difficile immaginare un’esperienza puramente sensoriale e guidata dagli istinti.
Ma proviamo a spingerci più in là: riusciamo a immaginare un lupo assalito dai dubbi, in preda alla paura e all’indecisione? Un lupo che soffra di sensi di colpa mentre cerca di procurare il cibo alla sua famiglia? O che si ponga problemi etici mentre sta lottando per conquistare il suo posto nel branco, per raggiungere magari la posizione di maschio alfa?
Questo sì che è difficile da immaginare, no?
La figura del lupo ha per me un significato particolare, e forse un giorno – quando mi trovassi nello spirito adatto – parlerò anche di questo. Ma adesso quello che mi interessa dimostrare è che una serie di problemi psicologici contro i quali ci troviamo quotidianamente a lottare (stress, ansia, dubbi, procrastinazione, ripensamenti, rimuginazioni, blocchi di tutti i tipi) dal punto di vista di un animale non hanno il minimo senso:
un animale ha come unico scopo quello di sopravvivere e riprodursi, possiede tutti gli strumenti per farlo, e li utilizza al massimo delle sue possibilità. Qualunque tipo di dubbio, remora, rigidità, blocco, non può che portare ad un abbassamento della sua performance e, di conseguenza, alla diminuzione delle sue possibilità di sopravvivenza.
Ho parlato altrove del cosiddetto “stato di flusso”, o “flow state”: https://www.brunomedicina.com/content/view/29/48/
Nutro una grande ammirazione per il Prof. Csikszentmihaly, che ha compiuto studi approfonditi su questa particolare condizione psicofisica negli ultimi 30 anni, e ho avuto modo di leggere buona parte dei suo lavori, che ne fanno un’indiscussa autorità a livello mondiale; tuttavia, mi sembra che non abbia il coraggio di oltrepassare la soglia oltre la quale le sue idee diventerebbero realmente rivoluzionarie. Ovvero, si limita a descrivere le caratteristiche dello stato di flusso come se si trattasse di qualcosa di straordinario e riservato a chi compie prestazioni di alto livello, senza osservare che si stratta di qualcosa di assolutamente naturale, di fatto lo stato più naturale possibile.
Cosa voglio dire con questo: a dispetto della percezione che abbiamo di noi stessi come di un “io” indiviso, il cervello è composto di fatto di un numero immesso di parti diverse. Anche limitandoci ad una suddivisione estremamente elementare, ci troviamo di fronte alla nozione di emisfero destro/emisfero sinistro (intuitivo uno, razionale l’altro, semplificando al massimo grado); proseguendo verso il centro, troviamo prima il cervello “emozionale” e infine la parte più antica, il cosiddetto cervello rettiliano. Ciascuna di queste parti è a sua volta composta di una quantità spettacolare di procedure completamente automatiche che ne determinano il comportamento.
Queste procedure – cha abbiamo in comune con gli animali – funzionano perfettamente, e hanno permesso la nostra sopravvivenza per milioni di anni, fino a quando ha cominciato ad apparire una forma embrionale di struttura sociale e parallelamente una rudimentale forma di ciò che noi chiamiamo coscienza razionale.
Di conseguenza, ecco che improvvisamente una serie di strategie, estremamente efficaci per la sopravvivenza nella giungla, non erano più adatte per la vita nella società che si stava formando: ecco che non abbiamo più il permesso di uccidere, picchiare, rubare, e via dicendo (per lo meno in teoria…)
Ci troviamo quindi oggi con un cervello e un corpo equipaggiati quasi completamente per la sopravvivenza in un ambiente arcaico, e con una parte ridicolmente piccola – la corteccia, sempre semplificando al massimo grado – che cerca di controllare come può queste procedure automatiche che – dal suo punto di vista – non sono corrette. Di fatto, l’intero percorso educativo ha come scopo quello di trasformare un potenziale criminale e serial killer (questo è di fatto un bambino di due anni…) in una persona in grado di convivere civilmente con gli altri rispettando le regole sociali.
A volte funziona, a volte no. È sufficiente guardare il telegiornale per essere costretti ad ammettere che molte volte i risultati lasciano a desiderare. Tuttavia, almeno un risultato è certo: ci confrontiamo con un conflitto permanente tra quello che ci spingerebbero a fare le parti più antiche del cervello e quello che invece sostiene la parte più recente, ovvero la coscienza razionale.
Il risultato lo abbiamo costantemente sotto i nostri occhi: vogliamo una cosa e ne facciamo un’altra, ci troviamo bloccati in un turbine di stress, paure, dubbi, rimuginamenti, ripensamenti, sensi di colpa, non sappiamo quello che vogliamo, e molto spesso ci sembra di essere in balia di forze che ci spingono verso comportamenti di cui siamo certi in anticipo che ci pentiremo.
(Non a caso, tutte le religioni hanno in qualche modo personificato queste parti del cervello, attribuendo al diavolo o chi per lui i pensieri in conflitto con un presunto “sé” superiore; la psicoanalisi – pretendendo in questo modo di essere scientifica – non parla più di diavolo ma di inconscio, senza peraltro darci informazioni maggiori.)
In tutto questo meccanismo, la mente razionale – quella di cui siamo così orgogliosi e che apprezziamo maggiormente – cerca di tenere sotto controllo tutti i processi, ovviamente non riuscendoci ma interferendo con le procedure automatiche e impedendo di fatto il funzionamente efficiente del cervello. Si comporta cioè come quei capiufficio – li conosciamo tutti – che passeggiano tra gli impiegati continuando a interferire, criticare e spiegare, con il risultato di complicare al massimo il lavoro e di impedire efficienza e produttività.
Sono cosciente di aver cercato – non so con quanto successo – di riassumere in poche righe un intero corso di psicologia evoluzionista, ma è stato necessario per spiegare meglio cosa intenda io con l’espressione “stato di flusso”: una situazione nella quale la parte superiore/razionale fissa un obiettivo, e poi si fa da parte lasciando che quelle parti del cervello che sono milioni (si, proprio così, milioni…) di volte più efficienti della coscienza razionale, facciano il loro lavoro e ottengano il risultato prefisso senza inutili interferenze.
Abbiamo così soddisfatte tutte quelle condizioni di chiarezza degli obiettivi, rilassamento, concentrazione, allineamento, fiducia, padronanza, non-giudizio, ecc che definiscono lo stato di flusso.
Nelle arti marziali tradizionali, dove l’efficacia doveva essere massima, la maggior parte dell’allenamento è diretta precisamente verso questo risultato: il guerriero dev’essere in grado di scatenare tutta l’aggressività e la furia verso il nemico, e questo senza alcun cenno di pensiero critico che ne potrebbe diminuere l’efficacia, sapendo soprattutto che questo significherebbe la morte.
Forse non è qualcosa che ci piace ammettere, ma questa è l’attitudine che ci ha permesso di sopravvivere e di evolverci fino ad ora; nei film di Walt Disney il lupo è il cattivo e i porcellini sono i buoni: in natura, ciascuno non fa altro che interpretare al meglio il proprio ruolo.
In conclusione: lo stato di flusso non è altro che uno stato di massima efficienza, uno stato nel quale ogni animale che viva nella giungla deve costantemente trovarsi se vuole mangiare e non essere mangiato, uno stato di focalizzazione assoluta verso l’obiettivo in cui tutte le componenti del cervello e del corpo funzionano in perfetta sinergia senza essere bloccate da dubbi e pensieri inutili.
E questo mentre la mente razionale – che ovviamente nessuno vuole escludere – fa il lavoro per il quale è stata creata, ovvero scegliendo di volta in volta gli obiettivi e valutando i loro effetti sulla vita personale e sociale, ma questo senza mettere a repentaglio l’efficienza del cervello.
Ovviamente, più semplice a dirsi che a farsi. Ma alcune tecniche derivate dalle arti marziali possono dimostrarsi estremamente utili in questo senso, e questo per scopi più pacifici e quotidiani.
Ho lavorato molto nell’ultimo periodo per selezionare – tra le tecniche disponibili – quelle di utilizzo più immediato e di più facile apprendimento per chi non abbia un background specifico, e le ho ordinato in un sistema che ho voluto chiamare “Fluxogenica” (ovvero, che produce lo stato di flusso) e le presenterò in pubblico quanto prima.
Nel frattempo, fate un po’ di auto osservazione, e tenete conto di quanto ho detto:
-quanti dei vostri pensieri sono realmente utili?
-lo stress e l’ansia servono a qualcosa? I dubbi aiutano?
-le critiche migliorano la prestazione?
-oppure tutta le elucubrazioni intellettuali – meravigliose quando usate al momento giusto – non sono altro che l’ostacolo più grande che ci troviamo ad affrontare? Quello che ci da la sensazione permanente di essere il nostro peggior nemico?
Quindi, ogni volta che la nostra mente ci tormenta con il suo chiacchericcio incessante e ossessionante, proviamo a immaginare di essere lupi che inseguono la preda…potere senza colpa…amore senza dubbi…non suona male, no?
Buona caccia
Bruno
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